I diritti umani in internet

Diritti online e diritti offline

La rivoluzione digitale

La fine della Seconda Guerra Mondiale è considerata generalmente la data di nascita della concezione moderna dei Diritti Umani. Il seme piantato al termine del più grande conflitto nella storia dell’umanità, però, non è rimasto uguale a se stesso: il modo in cui è cresciuto è stato influenzato da fenomeni la cui complessità ed estensione era impossibile da prevedere all’epoca.

Solo uno sguardo miope potrebbe leggere la definizione odierna dei diritti umani senza considerare quanto essa sia stata forgiata e influenzata dallo scontro tra le grandi ideologie nel corso della guerra fredda; dalle battaglie per la parità di genere e per i diritti della comunità LGBTQ+; dal lungo, complesso e non concluso percorso di fine dei colonialismi. I piccoli e grandi moti che scuotono la società e la storia influenzano il modo in cui gli uomini usano il diritto. E l’ultima di queste rivoluzioni è quella in cui viviamo adesso.

L’avvento di internet ha cambiato radicalmente le nostre vite. Immaginare di tornare indietro, a un mondo non più globale e iperconnesso, è assolutamente impossibile. Anche il dibattito relativo ai diritti umani è stato costretto a un’evoluzione sempre più frenetica e veloce, per tenere il passo del cambiamento. Possiamo dunque dire che Internet ha modificato anche la nostra concezione di diritti umani? E se sì, in che modo?

Una delle prime preoccupazioni della comunità internazionale, in effetti, è stata affermare che anche internet è uno spazio in cui i diritti umani devono essere protetti, esattamente come nello spazio fisico e reale. Così si esprimeva al riguardo il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, in un risoluzione del 2012 “sulla promozione, la protezione e il godimento dei diritti umani su internet”:

“gli stessi diritti che le persone hanno offline devono essere protetti anche online, in particolare la libertà di espressione, che è applicabile a prescindere dai confini o dal mezzo di comunicazione prescelto, in accordo con l’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici.” (1)

La fondamentale importanza di questa risoluzione è confermata dal fatto che questo principio di uguaglianza tra diritti online e offline si sia radicato come il punto di partenza della maggior parte delle riflessioni sul rapporto tra la rete e i diritti umani. (2)

Ciononostante, il punto di vista della dottrina al riguardo non è del tutto unanime. Una prospettiva diversa, che sembra utile proporre qui, è quella del professor Mart Susi. Secondo il suo punto di vista, l’avvento di internet avrebbe cambiato fin nella sostanza la natura dei diritti umani, poiché avrebbe costretto a sacrificare almeno in parte i principi di trasparenza, certezza e prevedibilità del diritto. (3)

Diritti online e offline sono uguali?

Nota Susi come, sebbene manchi un sufficiente dibattito in merito alla ragionevolezza della dottrina dell’uguaglianza dei diritti online e offline, anche altri autori sembrano quanto meno interessati a ridiscuterne i principi.

Così si interroga ad esempio la professoressa Joanna Kulesza, accademica polacca che ha studiato a fondo le interazioni tra internet e il diritto internazionale:

La natura transfrontaliera, la velocità delle comunicazioni, l’automazione, l’interconnettività e l’invisibilità di internet stanno cambiando il modo in cui vediamo e tuteliamo i diritti fondamentali (privacy, protezione dei dati, non-discriminazione, equo processo, presunzione di innocenza, libertà di parola)?

I diritti umani online sono perfettamente uguali a quelli offline o sono modificati dalle specifiche circostanze di Internet, magari fin nel loro vero e proprio nucleo? [...] Il Diritto, come specchio di tempi, etica e cultura, è un organismo vivente, che si adatta alle circostanze correnti e particolari. (4)

In termini più semplici, ciò che sempre più autori si stanno chiedendo è se sia corretto dire che i diritti umani vanno difesi online allo stesso modo di come si fa offline, o se il mondo è cambiato a tal punto da costringerci a usare nuovi strumenti, nuovi paradigmi.

Un esempio particolarmente chiaro è quello che riguarda la libertà di espressione, un diritto umano riconosciuto a livello tendenzialmente universale. Questo diritto può essere compresso quando è necessario bilanciarlo con la necessità di tutelarne altri: come quello alla dignità o alla buona reputazione altrui. Esistono tuttavia dei soggetti che godono di uno status particolare, in ragione del quale la loro libertà di espressione può essere compressa di meno: generalmente soggetti politici e giornalisti.

Con l’avvento di internet, però, il modo in cui le notizie si diffondono è cambiato radicalmente. Da anni abbiamo assistito alla nascita del cosiddetto citizen journalism: chiunque, per mezzo del proprio telefono, può documentare e diffondere una notizia praticamente in tempo reale. Possiamo quindi dire che il “privilegio giornalistico” andrebbe esteso a tutti? È ancora possibile tracciare una linea tra ciò che è giornalismo a livello professionale e ciò che non lo è? (5)

Cosa succede quando segnaliamo un post?

Anche gli strumenti di protezione e di implementazione dei diritti stanno cambiando radicalmente, specialmente per quanto riguarda ciò che accade sui social media. Un tempo, leggi e sentenze dei giudici avevano l’ultima parola su quali comportamenti potessero essere considerati accettabili e quali no. Ma la produzione e la diffusione dei contenuti su internet viaggia a un ritmo molto più veloce delle carte di un tribunale.

Accade dunque che, mentre gli Stati continuano a intervenire per regolamentare soltanto le attività che considerano evidentemente criminose, il controllo effettuato dai vari Meta, Twitter o TikTok sul rispetto delle loro Linee Guida è molto più diffuso e penetrante. (6)  Sono dunque molto spesso questi gli unici a poter decidere cosa gli utenti abbiano o meno diritto di pubblicare. In ultima analisi, i social definiscono l’ambito della libertà di espressione di coloro che li utilizzano. (7)

Di fronte a una violazione di un diritto nel mondo digitale, dunque, ci si trova di fronte a un bivio. Da un lato il tribunale, lento e improntato al principio di ragionevolezza e alle garanzie offerte dai processi; dall’altro i sistemi di ricorso interni approntati dai provider (il famigerato tasto “segnala”), molto più immediati ma finalizzati a un bilanciamento utilitaristico, che non tiene conto solo di un astratto principio di giustizia, ma anche degli interessi economici dell’azienda. (8)

Antichi problemi, soluzioni moderne

È dunque da scartare totalmente il discorso sull’uguaglianza tra diritti online e offline? Certamente no, se il termine uguaglianza è inteso nel senso di medesima intensità nel livello di protezione. Non è affatto scontato, invece, che questa tutela possa essere ottenuta con gli stessi mezzi, senza tenere conto delle specificità del mondo digitale. Se con ogni evidenza il potere sui diritti dei cittadini non è più monopolio degli Stati; il sistema di pesi, contrappesi e garanzie istituzionali dei diritti deve modificarsi coerentemente. (9)

D’altronde, la dottrina ammette pacificamente che lo studio dei diritti umani non può prescindere dallo zeitgeist, lo “spirito del tempo” (10) , per quanto riguarda la loro definizione e il contenuto. Non vi è motivo per non applicare il medesimo ragionamento alla loro forma.

Possiamo dunque concludere che è necessario adottare una prospettiva nuova e immaginare la questione in questi termini: quanto accade su internet non è soltanto una proiezione digitale di quello che accade nella realtà. Internet è un vero e proprio luogo dove gli individui interagiscono tra loro, in una dimensione nuova e complementare rispetto a quella fisica. 

Giovanni Pezzella (11)

Note